Domenica 25 aprile 2021 la città di Bologna ha celebrato il 76° anniversario della Liberazione. La commemorazione ufficiale si è svolta in piazza del Nettuno, davanti al Sacrario dei Caduti Partigiani. Dopo l’intervento del Sindaco Virginio Merola ha preso la parola la presidente dell’Anpi di Bologna Anna Cocchi. Di seguito il suo discorso.

Domenica 25 aprile 2021 la città di Bologna ha celebrato il 76° anniversario della Liberazione. La commemorazione ufficiale si è svolta in piazza del Nettuno, davanti al Sacrario dei Caduti Partigiani. Dopo l’intervento del Sindaco Virginio Merola ha preso la parola la presidente dell’Anpi di Bologna Anna Cocchi. Di seguito il suo discorso.

“Per il secondo anno consecutivo le celebrazioni dell’Anniversario della Liberazione sono state fortemente condizionate dall’emergenza sanitaria. Non c’è la piazza piena, non c’è la banda, ma abbiamo le bandiere delle Brigate partigiane per ricordarci come e grazie a chi si è arrivati alla Liberazione e ci sono – e ci sono sempre non solo il 25 aprile – qui alle mie spalle, le fotografie dei partigiani e delle partigiane caduti.
La nostra attenzione e il nostro affetto vanno spesso a chi che per fortuna c’è ancora e che dedica il suo tempo ad un’incessante opera di testimonianza, tuttavia, oggi voglio dedicare un pensiero a chi non c’è più. Agli uomini e alle donne che avevano deciso di battersi per la Libertà a chi ha deciso di prendere in mano il proprio destino e di compiere un’importante scelta di campo.
Guardando le foto si vedono sia visi giovanissimi che di persone mature. Erano studenti, operai, contadini, mondine, impiegate.
Erano partigiani e antifascisti della prima ora, c’era chi aveva combattuto in Spagna e chi a Porta Lame. Chi in montagna in brigata, chi operando da solo, ed è il caso delle tante giovani donne e ragazze che fino ad oggi abbiamo chiamato staffette. Voglio, infatti, fare mio il suggerimento della storica Cinzia Venturoli che propone di cominciare a chiamarle con il nome giusto: ufficiali di collegamento.
Non si tratta solo di una scelta linguistica. Senza il ruolo fondamentale delle donne in qualità di ufficiali di collegamento, appunto, poco avrebbero potuto fare i gappisti ai quali loro – sole e disarmate – provvedevano a consegnare le armi e a ritirarle dopo le azioni e poco avrebbero potuto fare le brigate senza le necessarie informazioni. Voglio sottolinearlo. Erano sole e disarmate, spesso poco più che ragazzine ed andavano incontro a rischi enormi, mettendo nel conto la possibilità di violenze indicibili e la morte.
Non solo.
Le donne sono state le uniche vere volontarie. Non avevano bandi che le obbligassero alla leva a cui rispondere, avevano già un carico di lavoro durissimo a cui provvedere per la cura della famiglia in condizioni precarissime, in più dovevano sostituire gli uomini nelle fabbriche e nei servizi, spesso si trovavano con i soldati in casa… Dovevano pensare a proteggere e a proteggersi. Ce ne sarebbe stato abbastanza. Invece hanno deciso ed è stata una scelta da vere volontarie.
I ritratti alle mie spalle ci mostrano padri, madri, mariti, mogli, figli e figlie, fratelli e sorelle.
Tutti avevano deciso di battersi per la Libertà,
Tutti sognavano e progettavano un mondo migliore e più giusto.
Sono stati strappati agli affetti più cari, sono stati strappati al Paese per il quale avevano combattuto e che perdendo loro ha perso uomini e donne di valore e menti brillanti.
Ma il debito può essere onorato.
Mantenendo viva la memoria di quanto è accaduto, certo.
Perché lo studio della storia serve a capire e a far sì che certe tragedie non possano più ripetersi.
Onorare il loro coraggio, certo.
Consapevoli che i diritti di oggi sono il risultato delle loro scelte.
Ma non basta.
La pandemia ci costretti ad elaborare nuove forme più creative per celebrare l’Anniversario della Liberazione, per questo sono molto orgogliosa dell’omaggio che, anche grazie alla preziosa disponibilità del Comune di Bologna, abbiamo deciso di rendere ai partigiani e alle partigiane con i dodici ritratti che si possono ammirare sulle porte monumentali della città, affiancati ai primi dodici articoli della Costituzione.
Approfitto di questa occasione per esprimere la più sincera gratitudine al sindaco Virginio Merola per essere sempre stato vicino all’Anpi in tutte le nostre iniziative. Mi auguro di tutto cuore che anche la prossima amministrazione sappia riservare all’Anpi la stessa attenzione che abbiamo ricevuto da questa.
Mi piace pensare che l’idea di abbracciare la nostra città decorandola con gli sguardi fieri e luminosi dei nostri cari partigiani e partigiane, accompagnati dai primi dodici articoli della Costituzione, possa rappresentare un ideale passaggio di testimone. È come se ci dicessero noi siamo arrivati fin qui, adesso tocca a voi. Noi abbiamo contribuito a pensarla e a scriverla, adesso tocca a voi portarne a compimento la piena attuazione.
È un messaggio fortissimo proprio perché veicolato dall’arte, capace di toccare le corde più sensibili dell’emozione e dei sentimenti.
I ritratti, infatti, ci raccontano molto di più dei volti dei protagonisti: sono le loro storie, la loro vita, i loro ricordi, le vittorie e le sconfitte. Sono la loro memoria. Diventano testimonianza.
La comunicazione non verbale, che mi auguro si potrà stabilire con chi si fermerà a guardarli, sarà un modo per chiamarci in causa. La forza espressiva dei ritratti – realizzati dalla pittrice Antonella Cinelli – con la fierezza e i cipigli, i sorrisi e le rughe, riesce a rispondere alla domanda su cosa li abbia spinti a resistere alla dittatura e a mettere in gioco la vita.
L’impegno è che la Resistenza continui, che il testimone passi nelle mani dei giovani e delle ragazze per arrivare alla piena attuazione della nostra cara e bellissima Costituzione. La pandemia ha reso evidente che c’è molto da fare, portando alla luce enormi differenze tra nord e sud, tra ricchi e poveri, tra uomini e donne, tra giovani e adulti, tra italiani e stranieri, tra chi è garantito e chi no.
La pandemia ha reso evidenti e le ha accentuate, le grandi diseguaglianze nel mondo e nel nostro Paese. Non solo: stiamo assistendo ad uno stato di emergenza permanente che rappresenta l’esatto contrario di ciò di cui ci sarebbe bisogno.
Siamo davvero sicuri che questa strategia produca dei vantaggi? Abbiamo il dovere di essere solidali e per esserlo è sufficiente avere la Costituzione nel cuore, far vivere la cultura della Costituzione.
C’è da essere preoccupati per la tenuta sociale del nostro Paese perché stiamo perdendo per strada larghe fasce di popolazione che non è rappresentata o non si sente rappresentata e che quando sarà passata la paura per la salute, sarà facile preda di rabbia e risentimento.
Attenzione, quindi perché, ed è la storia che ce lo insegna, è nei periodi di crisi che i fascisti tornano ad uscire e ad alzare la testa.
Occorre ripartire dalla nostra Costituzione, occorre far vivere la cultura della Costituzione, perché è lì che si trova scritto a chiare lettere il nostro codice genetico. I diritti o sono di tutti o non sono altro che dei privilegi.
Solo pochi esempi
Articolo 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Il diritto al lavoro e i diritti nel lavoro sono temi non più rinviabili. Anche perché sono stati compiuti enormi passi indietro rispetto alla dignità del lavoro e nel lavoro. Sembra che si sia deciso di lasciar correre sui diritti civili in cambio della comodità di ricevere merci a basso costo direttamente a casa. La pandemia ha reso evidente che i lavoratori sono divisi tra chi è garantito e chi no, tra chi può contare su una rete efficace di ammortizzatori sociali e chi può solo sperare nell’aiuto caritatevole di parenti e amici, quando ci sono. La pandemia ha rimarcato la differenza tra chi esercita una professione che gli consente di lavorare al sicuro da casa e chi – operai, braccianti, fattorini, edili, addetti alle pulizie – questa protezione non ce l’ha. Parlo degli addetti ai lavori più umili e spesso più pericolosi e meno tutelati.
Per non parlare dei giovani e delle ragazze, costretti a rinunciare a qualsiasi sogno di realizzazione e di autonomia. Sono davvero troppi i disoccupati tra le giovani generazioni ed è allarmante il dato di chi non studia, non lavora ed è talmente scoraggiato che un lavoro non lo cerca nemmeno più.
Il diritto all’istruzione è garantito dagli articoli 33 e 34.
La didattica a distanza – pur lodevole in linea di principio – si è rivelata spesso uno strumento classista e, pertanto, antidemocratico. Quanti sono i ragazzi e le ragazze di famiglie povere e fragili che ci siamo persi per strada? Quanti sono i giovani e i ragazzi che avevano nella scuola l’unica possibilità di crescita e di riscatto o anche l’unica possibilità di ricevere un pasto completo al giorno? Come si pensa di riuscire a recuperarli? Quali sono le azioni politiche che si intendono attuare per loro?
È inutile parlare di merito se non c’è al contempo uno sforzo – come da mandato costituzionale – per garantire uguaglianza di opportunità, anzi uguaglianza nelle chances di vita. Perché non c’è niente di peggio che trattare da uguale chi uguale non è.
I padri e le madri costituenti avevano ben chiaro che gli uomini non sono affatto tutti uguali per questo hanno scritto chiaramente all’articolo 34 che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
La percentuale di abbandono scolastico è aumentata drammaticamente da quando c’è la pandemia – ancora una volta con differenze enormi tra nord e sud e tra figli di famiglie ricche e povere. Il 43% dei dirigenti scolastici lamenta un accesso insufficiente ad internet, mentre erano anni che veniva segnalata l’enorme difficoltà ad insegnare nelle classi cosiddette pollaio. Dobbiamo far sì che i giovani e l’istruzione siano una priorità per il nostro Paese. Da subito.
Anche rispetto al sacrosanto – e per nulla scontato – diritto alla salute che la Costituzione cita negli articoli 32 e 117, la pandemia ci mostra ogni giorno un Paese nel quale mai così stridenti sono le differenze e ci costringe ad un ripensamento generale su che genere di servizi si intendono offrire. Ricordo che la nostra Costituzione garantisce a tutti il diritto alla salute, anche agli irregolari che vivendo in condizioni abitative spesso precarie e che timorosi a rivolgersi ad una struttura sanitaria, possono rappresentare preoccupanti veicoli di contagio. Vaccinarli non è solo un gesto di solidarietà, è un gesto che tutela tutti. Perché dalla pandemia si esce tutti o non se ne esce affatto.
Gli esempi potrebbero continuare. Concludo con una riflessione sulla libertà di espressione.
La nostra Costituzione è antifascista in ogni suo articolo e chi esprime il proprio pensiero andando contro i principi della Costituzione non esercita il diritto alla libertà di espressione ma commette un abuso di diritto e come tale va trattato e condannato. Gli strumenti ci sono serve l’impegno e la volontà politica di applicarli
Dobbiamo essere tutti consapevoli che i diritti non sono mai conquistati una volta per tutte. Per questo mi rivolgo ai giovani e alle ragazze: per la piena attuazione della Costituzione c’è bisogno di nuovi partigiani e di nuove partigiane!
Viva la Resistenza e buon 25 Aprile!”.

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